Strategia e piano d’azione

Premessa

La definizione dello sviluppo sostenibile, che “garantisce i bisogni del presente senza compromettere le possibilità delle generazioni future di fare altrettanto”, è una conquista di fine millennio che mira alla qualità della vita, alla pace e ad una prosperità crescente e giusta in un ambiente pulito e salubre. Lo sviluppo sostenibile, tuttavia, non è perseguibile senza un profondo cambiamento degli attuali modelli di sviluppo e dei rapporti economico–sociali. L’azione ambientale da sola non esaurisce la sfida dello sviluppo sostenibile, né può essere mera portatrice di divieti.

La sostenibilità economica è una questione di sviluppo stabile e duraturo: comprende alti livelli occupazionali, bassi tassi di inflazione e stabilità nel commercio internazionale.

La sostenibilità sociale ha a che fare con l’equità distributiva, con i diritti umani e civili, con l’immigrazione e con i rapporti tra le nazioni. Per il Mediterraneo vanno tenuti in considerazione sia i molteplici fattori geopolitici ed economici che caratterizzano l’area, sia le complesse problematiche ambientali. Nel Mediterraneo, infatti, si intrecciano instabilità politica e sociale, un modesto sviluppo economico con il forte innalzamento del debito estero pubblico di vari Paesi, la pressione demografica che contribuisce a determinare i consistenti flussi migratori, la diffusione di ideologie autoritarie, l’estensione dei conflitti, l’integralismo religioso, il terrorismo e l’ormai pluridecennale contrasto israelo-palestinese.

La democratizzazione e lo sviluppo socio-economico in alcuni paesi hanno avuto esiti sostanzialmente positivi, ma la situazione complessiva di instabilità dell’area si è andata accentuando, anche in relazione al deterioramento della situazione nei Balcani e nel Medio Oriente.

Il fondamentalismo ha prodotto fenomeni di terrorismo non solo a livello locale.

La pressione demografica interna ai paesi rivieraschi, cui si è aggiunta la spinta dell’area subsahariana, ha fatto riesplodere le correnti di immigrazione non controllata. Infine, il progresso socio-economico, per quanto apprezzabile in alcuni Paesi anche in relazione ai numerosi accordi di cooperazione bilaterale e multilaterale conseguenti alla Conferenza di Barcellona, non ha prodotto nell’intera area effetti tali da incidere positivamente sulla situazione complessiva. Tutti questi fattori negativi, concorrenti alla instabilità cronica dell’area, avevano attratto l’attenzione dei paesi della sponda nord del Mediterraneo e dell’Unione Europea al punto tale che, fino alla fine degli anni ’80, al problema del Mediterraneo e allo sviluppo dei paesi rivieraschi, veniva attribuito carattere prioritario.

La caduta del muro di Berlino e lo scioglimento del Patto di Varsavia spostarono l’attenzione sui problemi dell’allargamento verso est della Comunità, divenuta nel frattempo Unione Europea, con il conseguente dirottamento verso questi paesi di consistenti risorse in precedenza destinate ai Paesi della sponda sud del Mediterraneo. La propensione ad aiutare bilateralmente il Mediterraneo e ad investire in esso si sono sviluppate in funzione della vicinanza dei vari paesi a questa regione. Solo per citare due casi estremi, la Svezia, nel periodo 1993-1994, investiva nel Mediterraneo l’1,1% delle sue risorse rispetto all’11,2% investito nei paesi dell’Europa centro orientale. I fattori geopolitici sopra citati si intrecciano con fattori di carattere ambientale, dalle cui dinamiche deriva una situazione di particolare complessità, tanto più che non tutti i paesi attuano politiche omogenee e coerenti con l’obiettivo di uno sviluppo sostenibile. Tali fattori, che pur presentano differenze spesso sostanziali tra le diverse aree del Mediterraneo, sono i seguenti: incremento demografico, che ha provocato in cinquanta anni quasi il raddoppio della popolazione, concentrata prevalentemente nelle zone costiere; inquinamento da scarichi industriali (sono numerose le aziende che operano con tecnologie obsolete) e da smaltimento dei rifiuti, soprattutto nelle aree costiere in corrispondenza dei grandi agglomerati urbani; inurbamento di una consistente parte della popolazione rurale, che ha provocato una crescita abnorme delle aree urbanizzate; incremento dei trasporti marittimi, specie petroliferi, che creano zone ad alto rischio in corrispondenza delle rotte obbligate e delle aree di accesso ai porti; utilizzo crescente di energia, proprio in funzione dell’accelerazione dello sviluppo da parte dei paesi della sponda sud, con conseguente inquinamento atmosferico; crescita dell’utilizzo dell’acqua, in contrasto con la riduzione delle riserve idriche provocata dalla diminuzione delle precipitazioni; cambiamenti climatici che, presumibilmente, provocheranno nella regione mediterranea l’aumento del livello del mare, l’accelerazione dell’erosione costiera, l’intrusione dell’acqua marina nell’acqua di sottosuolo, negli estuari e nei sistemi fluviali.

Lo sviluppo sostenibile è pertanto un obiettivo globale.

Gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, approvati da 189 paesi nel settembre del 2000 e il Piano di Implementazione di Johannesburg, adottato nel 2002 durante il Summit Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile, mettono in evidenza l’urgente bisogno di un maggiore impegno al fine di ridurre le ineguaglianze e di sostenere lo sviluppo nei paesi poveri. Gli Obiettivi mettono anche in evidenza il bisogno di cambiare la produzione e i modelli di consumo come confermato dal processo di Marrakesh di proteggere e gestire le risorse naturali in modo sostenibile per lo sviluppo sociale ed economico, per salvaguardare la salute ed integrare efficacemente l’obiettivo di sviluppo sostenibile all’interno del processo di globalizzazione. Il Vertice Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile (WSSD) ha riconosciuto, per le strategie regionali e nazionali, che lo sviluppo sostenibile non può essere realizzato in modo isolato e che gli indirizzi internazionali devono essere adattati alle circostanze locali e alle condizioni dell’eco-regione di riferimento. Nonostante i progressi fatti, c’è una latente, ma crescente consapevolezza, da un capo all’altro del Mediterraneo allargato, che le attuali tendenze di sviluppo non siano ormai più sostenibili.

Lo sviluppo sostenibile è pertanto un obiettivo globale. Gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, approvati da 189 paesi nel settembre del 2000 e il Piano di Implementazione di Johannesburg, adottato nel 2002 durante il Summit Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile, mettono in evidenza l’urgente bisogno di un maggiore impegno al fine di ridurre le ineguaglianze e di sostenere lo sviluppo nei paesi poveri. Gli Obiettivi mettono anche in evidenza il bisogno di cambiare la produzione e i modelli di consumo come confermato dal processo di Marrakesh di proteggere e gestire le risorse naturali in modo sostenibile per lo sviluppo sociale ed economico, per salvaguardare la salute ed integrare efficacemente l’obiettivo di sviluppo sostenibile all’interno del processo di globalizzazione. Il Vertice Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile (WSSD) ha riconosciuto, per le strategie regionali e nazionali, che lo sviluppo sostenibile non può essere realizzato in modo isolato e che gli indirizzi internazionali devono essere adattati alle circostanze locali e alle condizioni dell’eco-regione di riferimento. Nonostante i progressi fatti, c’è una latente, ma crescente consapevolezza, da un capo all’altro del Mediterraneo allargato, che le attuali tendenze di sviluppo non siano ormai più sostenibili.

La Strategia comprende quattro Pilastri interconnessi con un piano d’azione Sinergico.

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